Peppe Barra in I Cavalli di Monsignor Perrelli (commedia)
Peppe Barra, metterà in scena il Monsignore, farsa in musica, in due atti.
Venerdì 22 Novembre inizio spettacolo 20:45 turno A di abbonamento
Sabato 23 Novembre inizio spettacolo 20:45 turno B di abbonamento
Teatro Eduardo De Filippo di Arzano
info
Botteghino
081 0140898 – 3470603124
Prezzo
botteghino teatro €30
vendita online €30+€1,5 di prevendita
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Presentazione spettacolo
- Titolo: I Cavalli del Monsignor Perrelli
- Genere: Commedia
- Scritto: Peppe Barra
- Regia: Lamberto Lambertini
- Interpreti principali: Peppe Barra
- Con: Patrizio Trampetti, Luigi Bignone, Enrico Vicinanza
- Scene: Carlo Demarino
- Costumi: Annalisa Giacci
- Musiche: Giorgio Mellone
- Produzione: Tradizione e Turismo – Centro di Produzione Teatrale, Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, A.G. Spettacoli
? NOTE DI SCENA:
La decisione di riproporre questo spettacolo nasce dal desiderio di Peppe Barra e Lamberto Lambertini, dopo troppi anni di separazione, di lavorare nuovamente insieme.
La scelta cade sull’ antico Monsignore, perché questo giocoso, surreale, originale atto unico è un’incredibile materia prima, ancora aperta per una rinnovata messa in scena.
Uno scherzo in musica in due tempi, nei canoni e nello stile comico ed elegante della commedia all’antica italiana. Uno spettacolo dal meccanismo antico e comicissimo.
Una “prova d’attore”, come si diceva un tempo, ma anche una prova d’amore verso l’arte del teatro, luogo rituale, dove l’Attore, immerso nel suo mondo, come un pesce nel suo acquario, possa trasformare i suoi incubi in un sogno condiviso.
L’epoca è quella di Ferdinando IV di Borbone. Si dice che lo stesso re Ferdinando, e la regina Carolina, attendevano con ansia le visite del caro Monsignore, per cominciare la giornata con qualche sana risata. Fu così che nacque la leggenda di Monsignor Perrelli, qui interpretato da Patrizio Trampetti.
Un uomo di chiesa, ma anche un eccentrico uomo di scienza, che spiattellava invenzioni stupefacenti, impossibili, al limite della cretineria, che sono diventate il corpo leggendario della vita di quell’involontario portatore sano di pura, infantile follia, che racchiudeva, nel bene e nel male, le caratteristiche dell’aristocratico campagnolo al tempo del Borbone.
In questo spettacolo viene messo in rapporto, e contrasto, con Meneca, la sua fedele perpetua, vittima rassegnata delle sue stramberie, interpretata da Peppe Barra, travestito da donna per la prima volta dopo i tempi della Gatta Cenerentola, la quale, stremata dalle continue imbecillità, o vizi, come quello del cibo, del suo padrone, si sfoga, a tu per tu con il pubblico in sala, con irresistibili monologhi.
Ma, come accade in ogni coppia che si rispetti, continuerà ad accudirlo con le sue amorose attenzioni, tenendolo al laccio con la sua arte culinaria di schietta tradizione campana.
Monsignore ha la testa tra le nuvole, Meneca ha i piedi per terra, due esseri distanti e vicinissimi.
I costumi e le scene, di Carlo Demarino, con il Vesuvio che incombe, fumante ed eruttante, dal balcone della villa, i costumi, ricchi e giocosi di Annalisa Giacci, e la musica originale di Giorgio Mellone, rimandano scherzosamente a quegli anni del primo ottocento, quando la vita, come molti amano credere, scorreva leggiadra e serena, nel profumo appagante del mare e degli agrumi, nella gioia del cibo, nella dolcezza delle canzoni.
Questo ambiente aiuta ad illuminare i giorni d’oggi con la forza liberatoria della risata che deriva dal nonsenso.
Oltre ai due protagonisti, Peppe e Patrizio, complici fin dagli anni settanta di spettacoli colti e popolari, vi saranno altri due attori/cantanti, Luigi Bignone e Enrico Vicinanza, che dopo essere apparsi, nella prima scena, nei panni del Padre e della Madre di Monsignore, nel giorno della sua nascita, si rivestiranno d’altri costumi, soprattutto di cantanti di varie epoche napoletane e di diversi linguaggi musicali, con intermezzi canori originali e rari che affondano nel profondo labirinto della nostra memoria popolare e nobile.
Uno spettacolo per grandi e per piccini, come si dice, con una sottile vena malinconica, dove la nostalgia non riguarda il passato, ma il futuro.
Un requiem, scandito dai deliri di Monsignore, sempre con la testa per aria, ma con i piedi tenuti per terra dalla fedele, innamorata, Meneca.
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